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“Il Cervello Emotivo e Sociale”

Cos’è la mente e come funziona?

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É difficile dirlo…

Diverse discipline scientifiche hanno tentato di darne una spiegazione…

Oggi la neurobiologia interpersonale descrive la mente come il risultato armonico dell’integrazione tra processi cerebrali e mentali, meccanismi neurobiologici e relazioni interpersonali. Dunque, oltre alle connessioni sinaptiche, anche le connessioni comunicative con gli altri giocano un ruolo molto importante nella costituzione dei processi mentali.

Le esperienze sociali che nel corso della vita maturiamo sono fondamentali per la crescita della nostra mente; esperienze che coinvolgono necessariamente la nostra sfera emotiva-affettiva, senza la quale non è possibile giungere ad una reale comprensione dell’essere umano. Infatti, le neuroscienze ci dicono che non è più sufficiente circoscrivere il campo d’indagine allo studio dei soli processi cognitivi, ma che occorre anche esplorare lo sviluppo emozionale e sociale di un individuo!

In particolare, oggi sono le neuroscienze affettive (area disciplinare in rapida espansione), che, con i loro studi mirati e altamente specialistici, riconoscono il cervello umano come un cervello emotivo e sociale, le cui complicate connessioni cerebrali vengono plasmate in modo diretto dalle interazioni interpersonali. Per mezzo delle tecniche di neuroimaging, della biologia molecolare e della neurogenetica, si è ormai giunti alla consapevolezza che il cervello non è statico e fisso, ma modifica costantemente le sue connessioni strutturali (e, di conseguenza, le sue funzioni neuronali) nel corso della vita, anche grazie alle interazioni con gli altri. E questo succede fin dalla nascita! Pensiamo al neonato: egli non ha coscienza di sé, ma sono i genitori (specialmente la madre) che devono farsi interpreti delle sue emozioni per comprendere di cosa abbia bisogno. Ed è proprio grazie al continuo dialogo e scambio di comunicazioni inconsapevoli e non verbali che avviene tra madre e neonato, che si costruisce la struttura mentale del bambino. Infatti, i primi due anni di vita, rappresentano una fase cruciale per lo sviluppo morfologico del cervello infantile e la madre, assumendo la funzione di “regolatore psicobiologico esterno”, influisce direttamente sulla crescita delle strutture cerebrali del bimbo, che, appunto, nei primi due anni di vita vanno organizzandosi. E qual è l’area del cervello maggiormente coinvolta in queste esperienze di accudimento e di relazione precoci? L’emisfero cerebrale destro, sede dell’elaborazione delle informazioni emotive non verbali, inconsce e soggettive, che viene comunemente definito emisfero emotivo.

Pertanto le esperienze emotive, affettive e relazionali che un essere umano fa, a partire dalla nascita, contribuiscono in maniera importante alla maturazione della sua mente/cervello, in quanto la capacità funzionale delle varie reti neurali dipende, come illustrato poc’anzi, dal tipo di esperienze sociali assimilate. Dunque, le trame relazionali che si instaurano nel corso della vita sono significative per un individuo: il cervello/mente raggiunge uno sviluppo completo solo se si trova in un contesto interpersonale, cioè nella dimensione comunicativa di un incontro con un altro che, se sa sintonizzarsi, realizza una sorta di “ponte relazionale empatico”, fondamentale per la piena maturazione del cervello stesso e quindi per una corretta evoluzione del sé.

Ma, d’altronde, non lo sosteneva già Aristotele, in tempi non sospetti, che l’uomo è un animale sociale?

Alessia Cenzato

“Mindfulness: Un modo nuovo di diventare consapevoli”

Vi sarà capitato di guidare, fare la doccia, lavare i denti in modo automatico, con la testa completamente rapita da altro. Ecco, è in queste occasioni, dove la mente si allontana dall’esperienza precisa che stiamo vivendo, che la Mindfulness può intervenire a recuperarla e focalizzarla su quel preciso momento.

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Si tratta della capacità di portare l’attenzione al presente in maniera intenzionale e sospendendo il giudizio. In poche parole, un processo mentale che ha sì le sue origini nella meditazione di stampo buddista (da cui ha eliminato però la componente religiosa), ma che si propone di entrare a far parte delle azioni che la persona compie quotidianamente portando a un nuovo, e migliore, stile di vita.

“Aumentare la consapevolezza dei nostri stati mentali, cioè delle emozioni, dei pensieri e delle sensazioni fisiche, accresce la flessibilità mentale. In questo modo vengono meno gli automatismi, e la mente è più lucida” (Kabat-Zinn, 1990). Cosa significa? Che è più probabile che reagiamo alle situazioni, anche quelle di difficoltà, con delle vere e proprie risposte piuttosto che con delle reazioni impulsive: come se d’un tratto quella sorta di pilota automatico che normalmente affianca i nostri processi mentali si spegnesse e lasciasse spazio al vero io.

 

Come si fa?

La consapevolezza può essere coltivata in molti modi, che possiamo distinguere in pratiche formali e pratiche informali.  Definiamo formali quelle pratiche che sono scandite da un inizio ed una fine (es. body scan, meditazione seduta, meditazione camminata), e che portiamo avanti in un arco di tempo stabilito osservando delle precise istruzioni. E’ fondamentale ritagliarsi spazio e tempo, nel corso della  giornata, per dedicarsi alla meditazione attraverso una delle pratiche formali.

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Tuttavia, ci si può allenare alla consapevolezza in qualunque momento della giornata anche attraverso le cosiddette pratiche informali. Le normali attività quotidiane, come guidare la macchina, preparare il caffè, fare la lavatrice, eccpossono diventare piccoli e preziosi attimi di consapevolezza, nel momento in cui portiamo una piena presenza in quello che facciamo.

Da molti anni la Mindfulness è oggetto di rigorose ricerche cliniche ed oggi viene inserita nei protocolli terapeutici ufficiali per molti disturbi e problemi, in particolare per la depressione, i disturbi d’ansia e le sindromi dolorose.

Sono stati dunque elaborati dei protocolli e delle modalità di intervento terapeutico che si basano sulla pratica della mindfulness. I più noti sono la MBSR (Mindfulness Based Stress Reduction), la MBCT (Mindfulness Based Cognitive Therapy) e una ulteriore evoluzione che è l’ACT(Acceptance and Commitment Therapy).

 

Perché si pratica?

Entrata nella pratica clinica dalla fine degli anni ’70 come rimedio allo stress grazie al biologo americano Jon Kabat-Zinn, ora la Mindfulness è considerata da diversi esperti una leva per l’avviamento delle pratiche cognitive di nuova generazione.

La  ricerca si è aperta infatti negli ultimi anni a declinazioni che spaziano dalla comprensione dei disturbi dell’umore alla gestione dell’ansia e delle crisi di panico, del disturbo ossessivo compulsivo, del dolore cronico, fino a volerne investigare gli effetti anche nel mondo dell’infanzia e nel campo dell’apprendimento.

Ma è anche fuori dall’ambito clinico che la Mindfulness riscontra un alto tasso di gradimento del pubblico. Alle strutture specializzate si rivolgono infatti sempre più spesso persone che vogliono percorrere questa strada per provare ad aumentare le proprie capacità di concentrazione in vista di traguardi importanti come quelli delle performance sportive, del mondo dell’imprenditoria e della finanza.

Cosa dicono le neuroscienze?

Il versante dove la ricerca sta provando a dare risposte più immediate è sicuramente quello delle neuroscienze dove, in particolare grazie alle nuove risorse strumentali, è possibile oggi raccogliere informazioni sempre più dettagliate e in tempi anche rapidi sugli effetti della Mindfulness sul cervello. Attraverso le tecniche di imaging cerebrale, per esempio, sono stati individuati cambiamenti nella morfologia di alcune aree della corteccia in seguito a trattamenti di almeno 8 settimane, e in particolare in quelle deputate alla memoria, all’empatia, alla consapevolezza di sé e allo stress.

 

La mia esperienza personale

Da circa un paio di anni, ricopro il ruolo di formatrice di corsi Mindfulness sia a livello individuale che di gruppo.  Da queste esperienze altamente formative, ho potuto trarre alcune considerazioni personali.

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Sono giunta alla conclusione che la pratica della Mindfulness, ci aiuta a differenziare la nostra esperienza mentale e ad integrarla, a sviluppare non solo nuovi schemi di lettura della realtà, ma anche una diversificazione della nostra consapevolezza. Non giudicando ci accorgiamo che, attraverso la meditazione, i giudizi possono cambiare nel tempo, le emozioni negative o positive si modificano da sole e il modo in cui soffriamo o gioiamo delle cose cambia. Il cambiamento esistenziale nasce, perché quando viviamo momenti felici sappiamo che sono passeggeri e possono subire trasformazioni, quindi ne beneficiamo maggiormente. Nel tentativo di proteggerci dal dolore invece, solitamente mettiamo in atto meccanismi che generano angoscia e/o somatizzazione. Grazie alla pratica di consapevolezza, quando la sofferenza arriva, sapendo che tutto passa, riusciamo ad accettare e tollerare maggiormente sia il dolore fisico che psicologico.

La Mindfulness include quindi il concetto di transitorietà, consentendoci di comprendere che il presente è davvero prezioso. Anche nei momenti difficili siamo aperti al pensiero che stiamo soffrendo, ma lo facciamo senza giudizio e ciò fa sì che la sofferenza cessi insieme al dolore. Non c’è un prolungamento della sensazione psicologica di sofferenza all’esaurirsi di quella dolorosa. Si diventa capaci di amare, di accedere alle proprie risorse, si accetta, si accoglie, non ci si fa trascinare dalle emozioni, si riesce a “stare” nei momenti difficili.

Tutto questo è possibile, se applicato con continuità. Il programma infatti, è strutturato in otto settimane proprio per fare in modo che, gradualmente e senza un tempo prefissato, ciascuno possa raggiungere un’accettazione di sé e vivere pienamente le proprie esperienze. L’obiettivo finale è quello di generalizzare ed estendere questa consapevolezza a tutte le situazioni di vita quotidiana, acquisendo l’abitudine mentale di godere e vivere appieno qualsiasi tipo di attività.

Il potere della nostra mente è grande. Se essa divaga, può dirigersi ovunque con il rischio per noi di perdersi dietro di essa. L’importante è diventare coscienti di ciò che sta accadendo e, quindi, di scegliere se permettere o meno a pensieri, emozioni o sensazioni di restare. La Mindfulness ci insegna a fare nostra questa modalità dell’essere, a divenire quindi meno vulnerabili di fronte alla potenza del pensiero e a rendere, di conseguenza, la nostra mente più forte.

 

Dott.ssa Elisa La Marra